Quando dopo secoli di convivenza e connivenza decisero di separarsi lo fecero malvolentieri. Una notte si ritrovarono nel Golubro e li fecero un patto: pur divise l’una dovrà sempre poter vedere l’altra, in qualunque momento, qualunque cosa accada. Sigillarono la parola data schiacciando una fragola di bosco tra le rispettive mani sinistre, poi l’una risalì il versante di destra e l’altra, specularmente, quello di fronte.
La gola fino a quel punto della storia del mondo era in realtà una stretta valle ma non aspra e scrosciante come siamo abituati a conoscerla noi oggi. Tutto iniziò dalla separazione delle due sorelle, da quel giorno lo spazio si strinse, le morbide colline divennero pareti verticali e il fiume che scorreva placido fu costretto a trovare spazio tra pertugi, cascatelle e strettoie. Come se le due montagne che dominano la gola volessero avvicinarsi tra di loro per rendere meno ampia la distanza tra le due sorelle ormai divise.
Secondo le anziane del luogo, fin dalla notte della separazione, all’ingresso della gola, sul lato sinistro, la montagna piange e le sue lacrime bagnano i visitatori che per svago o per far legna da secoli ne lambiscono la guancia.
Noi la conosciamo come Infernaccio, ma quella gola lucente anche se perennemente in ombra, tutto fuorché orrida, è forse la natura nel suo massimo fulgore, gesto d’amore e vicinanza, confine che si spezza. Il suo essersi resa nei nostri tempi facilmente percorribile è gesto che merita rispetto e mai passo banale.
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Testi: Simone Vecchioni - Illustrazioni (bozzetti): Valentina Marchionni.
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