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Due ruote nella storia. Da San Benedetto del Tronto a Roma lungo l’antica Salaria
Mar 31, 2019
Due ruote nella storia. Da San Benedetto del Tronto a Roma lungo l’antica Salaria
 
in bicicletta verso Roma
 

Qui eravamo circa a metà di un viaggietto che in tre giorni ci ha portati da San Benedetto a Roma lungo l’Antica Via Salaria. La strada romana, che unisce il Tirreno all’Adriatico, veniva utilizzata in passato per procurarsi il sale essendo il secondo più “salato” rispetto al primo. Un viaggio in sella alle nostre amate “bighe”, che in realtà sono (ancora le abbiamo) dei “cancelli” con le ruote; credo la mia pesasse circa 30 kg a pieno carico e forse quella di Andrea 28... lui era più evoluto! Partimmo con il treno di buon’ora per San Benedetto del Tronto pronti a pedalare alla volta di Arquata del Tronto. L’itinerario ideato toccava Ascoli Piceno e una miriade di borghi dei quali oggi molti ignorano anche l’esistenza, dopo che i viadotti e le gallerie della nuova Salaria li hanno cancellati dalla vista. Il primo tratto fino ad Asculum se potessi lo cancellerei dalla carta geografica. Sono un pò esagerato? Forse sì, ma credo non più di chi ha permesso nei decenni il proliferare di capannoni su capannoni (per la metà vuoti), in completo stato di degrado ed abbandono, strisce di asfalto di 25 km spalmate su una campagna da sempre tra le più fertili della regione… vabbè... cominciamo bene! 
 
Per fortuna all’arrivo nella città delle 100 torri un centro storico meraviglioso ti fa dimenticare tutto. Ascoli, costruita completamente in travertino bianco, è ricca di scorci e piazzette suggestive, per non parlare della Piazza del Popolo. Avete mai provato a fare delle foto sulla pavimentazione bagnata dalla pioggia dove si riflettono tutti i palazzi ed il loggiato intorno? Essendo il centro tutto ciclo-pedonale visitiamo la cittadina in sella alle bici e partiamo alla volta di Arquata seguendo l’andamento del percorso che non è mai eccessivamente ripido. Ad Arli ci accoglie il famoso Ponte Vecchio che si staglia sulla imponente Valle del Tronto come fosse un quadro.  Mi ricordo piacevolmente l’effetto che fa pedalare per più di 30 km senza incontrare traffico, su una strada frequentata per secoli da pellegrini, pastori, contadini, carbonai, commercianti e briganti. Molte le testimonianze incontrate nei borghi attraversati, cippi miliari che indicavano la distanza “in piedi” da Ascoli o i caratteristici nomi di alcuni di essi: Quintodecimo (Fraz. di Acquasanta)... capisci che poi non manca molto.15 miglia per Ascoli! Poi Favalanciata, altra minuscola quanto pittoresca frazione, dove una piccola azienda continua imperterrita a coltivare fava per produrre una crema gourmet. Passare sotto pareti di arenaria che sovrastano le anse del Tronto, sfiorare le case costruite sopra degli enormi massi, ti fa pensare che in passato questi viaggi per raggiungere l’Adriatico non dovessero essere per niente facili. Ora noi abbiamo l’asfalto e qualche luce, credo che 1000 anni fa l’unica luce presente era quella del lume che uno si doveva portare dietro per attraversare boschi fitti e insidie di ogni tipo. Una tappa dovuta ad Acquasanta dove Andrea mi suggerisce di passare “lì”, dice lui, dove mi appare una bella scalinata che scende fino alla strada... capisco subito che non sarei mai arrivato alla città eterna, bensì alla pace eterna! Tutto sommato me la sono cavata, con metà bagaglio sparso lungo le scale, ma sano e salvo. Ok si riparte! La strada dolcemente sale tra borghi quasi disabitati e la stretta valle del Tronto si presenta ricca di boschi di faggi e castagni con indosso il loro abito migliore, quello di metà autunno. Dopo un pò arriviamo a Trisungo alla ricerca di un altro cippo miliare di epoca romana “parcheggiato” a bordo strada vicino una casa... bellissimo! Da lì saliamo verso l’antica città-fortezza di Arquata che si staglia con il suo inconfondibile profilo possente e il suo Maschio (la torre più alta) a difesa della valle sottostante. E’ giunto il momento di farsi una doccia e di mettere le gambe sotto al tavolo, perché si sà, dopo un’intensa attività fisica bisogna reintegrare, così ci concediamo una cena ipercalorica a base di carboidrati presso il ristorante di Noè... un personaggio davvero “folcloristico”. Viene a salutarci e prende le ordinazioni dopo aver parcheggiato il trattore con non si sa quanti quintali di legna tagliata durante il giorno. Comunque i chilometri pedalati da S. Benedetto a quì sono 68 e non 32, ma come anticipato prima, quelli fino ad Ascoli li ho rimossi! 
 
ponte romano
 
GIORNO 2
Diario di bordo: Altitudine 777 m s.l.m. - Meteo: Nebbia - Temperatura 4° C.
Date le condizioni atmosferiche decidiamo di fare una colazione anch’essa ipercalorica, quindi caffè, succhi e dolci vari fatti dal forno locale di Corrado, marmellata e cioccolata. Nel frattempo un pò di nebbia si è diradata ed il sole comincia a scaldare l’aria, siamo a 6° C. Ok, carichiamo le bighe, foto di rito con foliage e via... destinazione Rieti. Sì infatti questa sarà un “tappone” di 120 Km, visto che poi l’ultimo giorno il meteo promette pioggia, quindi meglio approfittare il più possibile del bel tempo. Saliamo verso il centro storico di Arquata e pedaliamo ancora lungo il tracciato della Salaria, che intelligentemente passa “in quota”, rispetto al fondovalle, più insidioso e meno agevole.
 
salaria
 
Attraversiamo l’abitato di Pescara del Tronto, abbarbicato alla parete della montagna, dove l’acqua sgorga da ogni dove. Un taglialegna ci guarda con fare incuriosito e ci chiede dove stiamo andando, “a Roma” rispondo io… forse non capisce o ci prende per matti e si rimette al lavoro. La vista dall’alto della valle del Tronto è comunque spettacolare, una striscia che serpeggia tra le pareti del monte Vettore e dei monti della Laga che incombono sopra i nostri caschetti. Eccolo là: il bivio che sale a Forca Canapine o scende in direzione Amatrice. Pieghiamo nettamente in discesa e ci godiamo il fresco che si fa sempre più pungente, così tanto che la strada è gelata! Come saprete nelle prime ore del giorno nelle valli, a causa dell’inversione termica, si crea la famosa “guazza” o brina. La rugiada si ha quando l’aria viene a contatto con la superficie fredda di un oggetto caldo e condensa per raffreddamento, la brina è lo stesso fenomeno però con temperature inferiori allo zero. Quindi siamo sottozero! Pedaliamo per un pò e siamo in territorio di Accumoli quindi in Lazio, lo attraversiamo per spostarci nella sponda opposta del Tronto e rilassarci presso il lago dello Scandarello. Ad Arquata la nostra amica Sabrina Amatizi, ci ha preso in giro per quando saremmo arrivati al famoso valico chiamato “passo della Torrita”. Sarà per l’allenamento, ma io non ricordo di aver imprecato più di tanto, o forse sarà stato lo spettacolare panorama che ci circonda e si apre ad ogni curva ad addolcire la pillola. Zone montane tipiche del nostro Appennino con ampi spazi coltivati a foraggio e un pò a cereali, querce camporili che un tempo servivano a garantire ”meriggia” ai contadini durante la mietitura e ghianda agli armenti, non che a delimitare i confini.  Ora ci godiamo una vera discesa dove la strada si snoda e si incunea nella valle del Velino fino ai paesi di Posta ed Antrodoco. Il Velino è il fiume che crea le maestose cascate delle Marmore nella vicina valle del Nera per poi gettarsi nel Tevere.
 
Grazie ad una vecchia strada dismessa che bypassa una galleria trafficatissima riesco a godermi lo spettacolo delle gole del Velino. Il fiume scorre molto più in basso e le pareti si alzano altissime su di noi, è davvero un punto di osservazione privilegiato il nostro e mi fa pensare a quale spettacolo si perdono quelli che in auto o in moto passano lungo la nuova Salaria costruita e dettata dalla velocità a tutti i costi... ma sembra che così vada il mondo.  Tutto procede bene, facciamo una piccola pausa per mangiare qualcosa, nel fondovalle sfioriamo le famose Terme di Cotilia, ma perché continuare così dolcemente in pianura e discesa? Il mio compagno di viaggio dice: ”andiamo a Cittaducale, dai!” ed io: ” ma sì dai, che sarà mai?!” Ecco che capiamo subito cosa ci aspetta, un bel “muro” (leggi: salita piuttosto ripida) di diversi chilometri che affrontato con bici così cariche ti fa subito dire la famosa frase: ”ma chi me l’ha fatto fare?”. Saliamo piano piano e arriviamo finalmente in cima. Da lì ci aspetta di contro una discesona altrettanto ripida ma molto più divertente che ci porta in poco tempo a Rieti dove un cartello ci accoglie con la scritta “l'Umbilicus Italiae", essendo il centro geografico del Bel Paese. Siamo ormai nel primo pomeriggio e di chilometri nelle gambe ne abbiamo 85, ancora un pò di luce del giorno e di energia. Prendiamo un caffè in un bar del centro e chiediamo alla barista quanto fosse distante Osteria Nuova, lei con fare rassicurante ci dice: ”Mah non credo più di 15 Km, una mezz’ora daje...”. A noi la carta del percorso diceva tutt’altro, almeno il doppio, ormai abbiamo prenotato un B&B per la notte e la tabella di marcia va rispettata. Ok, come canta Guccini, lasciamo un nichel di mancia, e risaliamo in sella.  Scendiamo per diversi chilometri, poi una bella pianura tipica della “conca reatina” ci fa riposare un pò. Ormai sono circa le 17 e le giornate cominciano ad accorciarsi, quindi meglio spingere un po' sui pedali, la buona intenzione c’è, ma ci pensa l’orografia del territorio a “domare” ogni buona volontà… Ci tocca infatti un salitone inesorabile di circa 10 chilometri che affrontiamo con tutta calma, o forse rassegnazione?!  Per non pensarci, guardando le nostre ombre lunghe, comincio a notare una cosa che solo chi viaggia a piedi o in bici può veder: la quantità e varietà di oggetti (non solo rifiuti) abbandonati a bordo delle strade. Credo che se avessi voluto avrei potuto mettere su una bancarella di autoricambi, abbigliamento ed accessori. Ok siamo quasi ad Osteria Nuova e indossiamo le torce frontali. Di chilometri da Rieti ne abbiamo fatti circa 40, altro che i 15 della nostra amica barista la quale abbraccio molto calorosamente! Beh comunque tutto è bene ciò che finisce bene. Ci piazziamo nel B&B e ci facciamo consigliare un ristorante per mangiare qualcosa, poco distante ce n’è uno tipico e quindi una amatriciana doppia non ce la toglie nessuno. Quando dico doppia  intendo, due porzioni a testa. Dopo 120 chilometri e non so quanto dislivello in salita, mi sembra il minimo.
 
GIORNO 3
 
bicicletta sotto la pioggia
 
Il diario di bordo si deduce dalla foto qui sopra.  Il meteo non si è sbagliato, cominciamo a pedalare già dal mattino sotto la pioggia, siamo ormai a circa 50 chilometri dalla città eterna, quasi tutti in discesa, lungo una strada abbastanza anonima. Rispetto a ciò che portavamo negli occhi e nel cuore nei giorni passati, il panorama ci lascia del tutto indifferenti. Sarà per il meteo o per il traffico, ma dobbiamo stare attenti alla guida delle bighe e quindi poco attenti al paesaggio. Il profilo altimetrico è molto rilassante fino a Settebagni, cioè alle porte di Roma. Il gioco di parole con il nome della località è stato il tormentone per il resto dell’avventura, basta dividerlo in questo modo: “Se-te-bagni”, e niente è più indicato per la nostra situazione.   La strada comincia ad essere fortemente trafficata, vista la vicinanza al centro storico, quindi come si usa, chiediamo informazioni ad un indigeno. L’unico che troviamo per strada è un fioraio che sembrava uscito da un film del famoso commissario interpretato da Tomas Milian. Ci avviciniamo e gli chiediamo se c’è una strada alternativa per raggiungere il centro senza rischiare la vita. Lui con molta convinzione ci consiglia di girare per quella strada bianca là in fondo e seguirla fino ad arrivare a Roma. Sotto una pioggia incessante io ed Andrea ci guardiamo, diamo uno sguardo veloce alla carta e qualcosa non ci convince del tutto. La scena mi ricorda un po' la barista di Rieti, ma essendo noi degli inguaribili ottimisti decidiamo di prendere “la strada bianca là in fondo”.  Cominciamo a vagare per la campagna di Settebagni con un unico punto di riferimento: l’autostrada sopraelevata in lontananza, che per forza di cose, conduce al GRA. Ci dirigiamo verso una casa di campagna con due pastori maremmani “d’ordinanza” che ovviamente cominciano a correre verso di noi con fare minaccioso. A quel punto ragioniamo sul da farsi e proprio in quel momento si fermano e noi ci “buttiamo” a bordo strada per passare il più lontano possibile. Come per miracolo ci lasciano passare. A quel punto controllando sulla carta vediamo che si potrebbero tagliare parecchi chilometri scavalcando una collina di terra lavorata poco distante da noi, invece che girarci intorno. Non so se conoscete un detto tipico dei paesi delle nostre montagne che recita: “La strada buona non è mai lunga”... Avremmo dovuto seguire queste sagge parole. Infatti ci troviamo a spingere le nostre bighe su di una pendenza importante con il fango che ci blocca le ruote tra le forcelle e con la pioggia che non accenna  a diminuire.
 
Ok ormai siamo quasi in cima alla collina e notiamo in fondo (ma molto in fondo!) un laghetto di pesca sportiva, ovviamente recintato con una rete alta almeno 2 metri. Bellissimo a vedersi, pieno di aironi che svolazzano nei pressi e un boschetto di querce vicino. Solo che l’unica strada di accesso è dalla parte opposta a noi ed è impossibile fare il giro intorno, quindi arrivati a ridosso della rete... che si fà?! Potete immaginarlo. Smontiamo i bagagli, ci arrampichiamo sulla canna della bici e li buttiamo dentro al recinto, fin quì niente di problematico. Il problema è stato tirare le bici dentro... ma con moooolta pazienza siamo riusciti anche in questo. Rimontiamo i bagagli e cominciamo a pedalare tra i pescatori che ci guardano in modo strano (chissà come mai!?) ma una volta spiegato loro la situazione ci lasciano passare tranquillamente. Qualcosa comunque non va proprio liscio, infatti ho forato tutte e due le gomme, ma in un viaggio di circa 230 chilometri ci sta. Finito il pit stop ci troviamo sempre in periferia ma almeno su asfalto e precisamente in zona Bufalotta, un quartiere residenziale a nord-est della capitale. La pioggia finalmente ha smesso di scendere e in lontananza si comincia a scorgere l’inconfondibile skyline di Roma. Sinceramente non ricordo di preciso dove siamo usciti, ma arriviamo sulle sponde del Tevere e pedaliamo per diversi chilometri lungo la ciclabile che lo costeggia fino ad arrivare poi al Campidoglio. Finalmente siamo giunti a destinazione e cominciamo a girare tutti i luoghi simbolo della città, piazza Navona, i Fori Imperiali, il Colosseo, il tutto in assenza di auto visto che questa domenica è appunto una delle famose “domeniche senz’auto”.  Senza che ve lo dica, questo è uno dei modi migliori per godere e scoprire i gioielli di questa città. Ultima doverosa tappa è piazza San Pietro, pedaliamo per tutta la lunga via della Conciliazione e ci si aprono di fronte la spettacolare Basilica ed il Colonnato del Bernini, ci fermiamo scattiamo una foto di rito e poi direzione Termini per rientrare in treno.
 
colosseo
 
Beh, del rientro in treno non scrivo nulla, visto che è filato tutto liscio e intorno alle 22 siamo già a casa... anche se tante volte non è così scontato!
 
Le emozioni provate sia prima (per la progettazione) che durante il viaggio le porterò sempre con me, come è stato per ogni altro viaggio fatto con la “biga”. Appena rientrato a casa promisi a mia figlia, che una volta cresciuta, avremmo fatto lo stesso itinerario, non credo abbia capito un granché visto che all’epoca aveva tre anni, ma mi è sembrata d’accordo. 
 
Ad oggi le cose sono cambiate dopo il sisma del 2016, molte realtà attraversate non esistono più, molti degli abitanti si sono trasferiti. In passato ho lavorato ad Arquata del Tronto al Centro dei 2 Parchi, con gli amici della Forestalp, per diversi anni ho percorso tutti gli itinerari più suggestivi della zona e conosciuto persone sincere e veraci. Il ricordo di questi luoghi me lo porto dentro come una parte di me, qualcosa che mi appartiene. Ogni roccia, albero, foglia, pietra di case o scena di vita quotidiana era lì da secoli e senza saperlo mi ha regalato scorci, suggestioni, momenti di serenità, suscitato pensieri e riflessioni nel modo più naturale al mondo. Spero con queste poche righe di far rivivere quei luoghi per come erano, cioè unici, ricchi di storia, di vita e di fascino. Capaci di farci viaggiare nel tempo, se solo attraversati a passo lento come da sempre sono stati vissuti. A presto.
 
Mauro Viale
 

lungotevere in bici

 
san pietro
 
antica via salaria
 
 
 
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